Non è dato sapere se sono stati i piemontesi a copiare dagli inglesi o viceversa. Sta di fatto che il carciofo qui, tra le colline che si estendono tra il fiume Tanaro e il Belbo, è per tutti l’“arcicioc” e suona proprio come nella lingua d’oltremanica. Una cosa però è certa: il carciofo della Valtiglione ha una storia antica e si ha notizia della sua coltivazione già a partire dal ‘500. Un ortaggio bello a vedersi che venne usato per usi alimentari ma anche farmaceutici. Sono infatti molte le sue qualità e un consumo regolare di carciofo è un toccasana per il fegato e per il controllo del colesterolo. La pianta perenne, tipica del mediterraneo, ha trovato un terreno adatto anche sulle colline del Monferrato, sebbene dia il meglio di sé in momenti diversi dell’anno e sia pronto per il consumo nel mese di maggio. Una qualità tardiva, senza spine e molto tenera che è stata riscoperta e rivalutata. Talvolta, localmente, viene chiamato “carciofo del Sorì” (versante collinare esposto al sole e più riparato dalle gelate invernali) a ricordare quanto la giusta esposizione sia fondamentale per sviluppare le migliori caratteristiche organolettiche di questo saporito carciofo, apprezzato per la tenerezza e il sapore dolce con un delicato retrogusto che ricorda i cardi selvatici.